di Nicoletta Sacchi, direttore del Registro Nazionale Italiano Donatori di Midollo Osseo
La data ufficiale di nascita del Registro viene fatta risalire al luglio del 1989, quando l’Ente ospedaliero Ospedali Galliera di Genova deliberò l’istituzione di un Registro dietro specifica richiesta del primario del suo servizio trasfusionale, il professor Giorgio Reali. All’epoca, il dottor Mario Barbanti – che dirigeva il laboratorio di istocompatibilità annesso al trasfusionale – aveva studiato e messo a punto un programma al computer per raccogliere le caratteristiche genetiche HLA di soggetti tipizzati a favore di consanguinei.
A Genova, infatti, presso la divisione di ematologia del Policlinico San Martino – diretta dal professor Alberto Marmont – intorno alla fine degli anni ’70 si erano cominciati ad eseguire (per la prima volta in Italia!) i trapianti di midollo osseo tra fratelli e il laboratorio di istocompatibilità del Galliera conduceva sui pazienti e sui loro familiari le tipizzazioni HLA (allora con metodiche basate su reazioni sierologiche antigene-anticorpo, poiché era totalmente sconosciuto il mondo della biologia molecolare). Presso quel laboratorio, dunque, vi era un discreto numero di tipizzazioni HLA di persone sane (ovvero i consanguinei dei pazienti) che erano state ‘registrate’ in unarchivio informatico.
1988, primo trapianto da non consanguineo
Nel 1988 il gruppo del professor Marmont, alla guida del dottor Bacigalupo, esegu√¨ il primo trapianto in Italia da donatore non consanguineo da Registro su una ragazzina di 14 anni, affetta da leucemia, utilizzando le cellule midollari di una donatrice inglese iscritta presso l’ Anthony Nolan di Londra, che all‚Äôepoca rappresentava, in pratica, l‚Äôunico Registro di donatori del mondo. Spinti dal senso di frustrazione di non poter eseguire il trapianto nella maggior parte dei pazienti che, nonostante l‚Äôestrema necessit√†, non aveva il familiare compatibile, gli ematologi italiani sollecitarono il dottor Barbanti a richiedere ‚Äì a quei soggetti ‚Äòregistrati‚Äô nel suo archivio dati ‚Äì il consenso a essere disponibili per qualsiasi malato in attesa di trapianto, anche non familiare.
Quelle 2.321 persone, che nel 1989 ci risposero positivamente, costituirono il primo embrione dell’IBMDR. Attraverso la Società Italiana di Medicina Trasfusionale e Immunoematologia (SIMTI) e l’Associazione di Immunogenetica e di Biologia dei Trapianti (AIBT) si pensò, allora, di condividere l’idea e di distribuire ad altri laboratori di tipizzazione italiani il programma informatico per la gestione dei candidati donatori, al fine di costituire un archivio nazionale.
Alla fine del 1990 erano 17 i laboratori di tipizzazione (per lo più associati ad un servizio trasfusionale il cui compito era verificare l’idoneità del candidato donatore) che fungevano da Centri Donatori IBMDR (tabella 1).
Nel frattempo, s’iniziò a trovare una sede consona per il Registro (sino ad allora rappresentata da una scrivania e un computer sistemati in un angolo del laboratorio di istocompatibilità) e a dotarlo di personale attraverso supporti economici privati elargiti da Fondazioni, la svizzera LIMMAT prima e, dal 1993 in poi, dalla Fondazione IBMDR, composta da ADMO, dalla Nazionale Italiana Cantanti e dall’Ente ospedaliero Ospedali Galliera. È stata proprio questa Fondazione che ha permesso al Registro di funzionare e svilupparsi sino al riconoscimento ufficiale (e al conseguente finanziamento), arrivato soltanto parecchi anni dopo con la Legge n° 52 del 6 marzo 2001.
Ma torniamo agli inizi della nostra attività. Nel 1991 i pazienti in ricerca erano circa un centinaio, ascrivibili a una decina di Centri Trapianto che in Italia, seguendo l’esempio dell’ematologia del San Martino, decisero di interessarsi al trapianto da non consanguineo. E il piccolo Registro di allora fece, in quell’anno, un altro paso fondamentale della sua storia: fra gli otto trapianti eseguiti, due provenivano dall’IBMDR. Il primo donatore italiano di midollo osseo fu una giovane donna di Torino, prelevata a favore di un ragazzo in cura presso il Centro Trapianti di Bologna (tabella 2).
L’IBMDR chiuse il 1991 con oltre 10.000 iscritti, numero che all’epoca pareva già eccezionale. In quegli anni, la probabilità – per un soggetto – di reperire in tempo utile un possibile donatore compatibile era inferiore al 7%, malgrado le tecniche di tipizzazione e, di conseguenza, i criteri di compatibilità fossero ancora molto grossolani e, alla luce delle conoscenze attuali, molto meno restrittivi (se applicassimo oggi quei requisiti di compatibilità, il 95% dei pazienti troverebbe il donatore!). Questo perché i soggetti iscritti (in Italia e nel resto del mondo, dove cominciavano a sorgere altre organizzazioni simili all’IBMDR) erano comunque troppo pochi in relazione all’estrema variabilità del sistema HLA. Si cominciò, allora, una rincorsa verso un obiettivo che, a quel tempo in Italia, pareva estremamente ambizioso, ma che avrebbe reso efficace la ricerca di una percentuale maggiore di pazienti: iscrivere 100.000 donatori.
Il traguardo fu raggiunto nel corso del 1995, anno in cui vennero iscritti quasi 50.000 potenziali donatori grazie, soprattutto, alla capillare azione divulgativa e promozionale di ADMO. Dopo soli due anni, alla fine del 1997, furono raggiunti i 200.000 iscritti, dopodiché i nuovi inserimenti, come abbiamo già avuto modo di segnalare dalle pagine di questo giornale, sono progressivamente diminuiti. Solo nel 2002, difatti, è stata superata quota 300.000 donatori.
Biologia molecolare, protocolli… vita!
Intanto, l’avvento della biologia molecolare nello studio dell’HLA e l’applicazione di protocolli trapiantologici sempre più evoluti (con criteri di compatibilità, per alcuni tipi di malattia, molto restrittivi) da un lato hanno permesso di ottenere successi insperati nel trapianto da non consanguineo, dall’altro hanno raffinato – e, di conseguenza, complicato – la ricerca del donatore compatibile. Benché oggi possiamo contare oltre 370.000 soggetti iscritti in Italia (dei quali 330.000 circa idonei alla donazione) e oltre 12 milioni nel mondo (ascrivibili a più di 60 Registri) non riusciamo a soddisfare che il 50-60% dei pazienti in attesa di trapianto. Per tale ragione è opportuno continuare a iscrivere volontari, soprattutto fra i giovani (grafico 3).
Sono sempre di più, infatti, i pazienti che necessitano di un trapianto: a fronte del centinaio che era in ricerca nel 1991, nel 2008 sono state accese 1.393 nuove ricerche. I motivi dello spaventoso incremento sono molteplici: nel corso di questo ventennio, oltre al moltiplicarsi dei centri trapianti italiani che applicano tale tipo di trattamento (oggi sono oltre 50), sono aumentate le malattie che risultano beneficiare del trapianto e si sono ampliati i criteri di eleggibilità per pazienti.
Negli anni ’90 solo pazienti al di sotto dei 40 anni e affetti da leucemia mieloide cronica, da leucemia linfoblastica acuta o immunodeficienze potevano attivare la ricerca; oggi, l’elenco di patologie che trovano indicazione al trattamento si è enormemente ampliato e il limite di età per i riceventi si è spostato ai 70 anni (tabella 4).
Tale evoluzione è stata possibile anche grazie all’applicazione di protocolli di trapianto meno aggressivi che, di contro, necessitano di elevate dosi cellulari del donatore da infondere. Per tale ragione nel 2005, dopo aver ampiamente dibattuto con la Commissione SIMTI che non ci fossero particolari rischi legati a questo tipo di donazione, è stata introdotta anche in Italia la raccolta di cellule staminali ematopoietiche (CSE) da sangue periferico (in aferesi dopo stimolazione con fattori di crescita).
Nel 2007, un altro evento fondamentale per la storia dell’IBMDR e per tutta l’organizzazione che sottende il programma di trapianto di CSE da non consanguineo: grazie a un accordo Stato Regioni, l’IBMDR viene identificato come sportello unico, in Italia, per la ricerca di CSE da midollo, periferico e da cordone ombelicale. In virtù di questo intervento normativo, da un lato gli ematologi hanno la facoltà di avviare un’unica ricerca per identificare la fonte di cellule staminali ematopoietiche da non consanguineo più opportuna e idonea per trattare il paziente, dall’altro viene finalmente regolamentato tutto il complesso meccanismo economico che sottende sottende la ricerca di un donatore non consanguineo (per parecchi anni l’Ente ospedaliero Galliera ha anticipato i costi della ricerca).
Sono trascorsi vent’anni e di strada ne è stata fatta veramente molta. Tutti insieme: donatori, pazienti, volontari, medici, sanitari e, per fortuna, anche istituzioni.
I numeri?
• oltre 370.000 iscritti,
• oltre 20.000 ricerche di donatore avviate,
• 2.158 volontari giunti alla donazione (grafico 5)
• quasi 4.000 trapianti da donatore non consanguineo eseguiti in totale in Italia,
• 640 trapianti (quasi due al giorno!) eseguiti nel corso del 2008 dai Centri italiani (grafico 6).
Un grazie di cuore a tutti coloro che hanno contribuito al raggiungimento di questi risultati e… una nuova sfida: quando festeggeremo il 400.000esimo donatore iscritto?