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Sono la mamma di Evelyn, una ragazza di 22 anni, che fino al marzo di due anni fa viveva la normale vita di tanti suoi coetanei. Un giorno appare una ghiandola sul collo: ci si preoccupa, ma poco. Le prime analisi, le prime paure e il verdetto: leucemia. La ribellione, la non accettazione di qualcosa che fa tanta paura, la disperazione. Ci si trova improvvisamente catapultati in un mondo fino ad allora lontano, che non ti riguarda, non ti appartiene. S’incomincia a familiarizzare con termini medici, incomprensibili. La sete di conoscere sempre più notizie sulla malattia e un’unica, sola domanda: si guarisce?
Inizia una strana fase: stanze di ospedale, apparecchiature particolari, camici, mascherine, cuffi e… Accorgimenti da adottare e, costantemente, la paura di sbagliare, di poter fare qualcosa che peggiori la situazione. Si comincia a guardarsi intorno: sguardi impauriti di chi vive il tuo stesso dolore, sguardi che dicono sofferenza, timori e terrori ma, insieme, la voglia di vivere e la speranza di farcela degli ammalati. Si cerca di sentire oltre le parole, di vedere oltre gli sguardi, di leggere nei pensieri dei medici. E intanto si cerca di vivere, di non farsi sommergere da quell’immenso oceano di dolore e disperazione. Ci si rivolge al Signore, a Colui che tutto può, si chiedono la forza e il coraggio per poter proseguire nel buio tunnel della malattia.
La vita continua… ma in quelle piccole e asettiche stanze d’ospedale la vita si spegne, anche. Inizia la lotta, il braccio di ferro e la convinzione ferrea che vincerà la vita. La chemioterapia, devastante ma necessaria. Le prime risposte dell’organismo, il primo lento retrocedere della malattia e, intanto, il tempo scorre. Il primo timido ottimismo, una prima parvenza di vita quasi normale. E nel frattempo è trascorso un  anno. Un anno in cui hai assistito impotente alla strenua lotta di una figlia contro un nemico invisibile ma fortemente agguerrito. S’incomincia a credere che forse, nonostante la sua potenza, si è riusciti a sconfiggerlo. E invece… un esame e scopri che il nemico è tornato, più forte, più potente, più cattivo di prima.
Si ricomincia. S’inizia a sentir parlare di trapianto di midollo osseo, di ADMO. Si scopre che dietro questa sigla si cela un mondo fatto di persone comuni che operano per combattere la tua stessa battaglia. Tanta disponibilità, tanta generosità, tanto altruismo e un fine da raggiungere: insieme per sconfiggere il nemico. Vengono offerti sostegno, indicazioni, tanto aiuto e appoggio. Si apre la banca mondiale con la speranza di trovare un midollo compatibile e, dopo alcuni falsi allarmi, la luce: in Germania c’è un donatore compatibile. L’iter burocratico sembra lunghissimo ma finalmente tutto è pronto: il 24 agosto Evelyn rinasce. Ci si sente quasi storditi, un groviglio di sentimenti ti invade. Quella piccola sacca di sangue midollare, inestimabile dono, appesa ad un gelido palo, non ha un volto, non ha un nome, ma quello stesso sangue che lentamente viene infuso nelle vene di tua figlia porta con sé tanta generosità e tanto tempo donato gratuitamente. A Evelyn restituisce il sorriso, sogni e aspirazioni smarriti nel buio fitto della malattia, il ritorno alla vita.
 
Enza Talarico